Sebbene la parola cognitivo richiami alla mente il cognitivismo, con quest’ultimo essa ha poco o nulla a che vedere. Quando si parla di cavalli cognitivi, ad esempio, il riferimento non è il cognitivismo ma le dimensioni di cognizione animale, in particolare quelle trattate dall’etologia cognitiva.
Anche se, attraverso un approccio superficiale alle cose e alle discipline di studio, il cognitivismo sembra distanziarsi dal comportamentismo (behaviorismo), nella realtà dei fatti non esiste una sostanziale soluzione di continuità, sia da un punto di vista storico, con il primo che prende origine dal secondo e con i primi cognitivisti che appartenevano ancora alla casta del comportamentisti, sia nell’approccio meccanicistico-robotico di chi lo esplora e di chi lo esercita, con una tendenza fortemente cartesiana sia dell’uno che dell’altro (sia parlando di comportamento che di mente), dove entrambe queste dimensioni appartengono alle due facce della stessa moneta, una moneta sempre e comunque di natura antropocentrica e specista, nei cui laboratori, entrambi a condizioni controllate, l’animalità veniva e viene ancora oggi vivisezionata e di fatto negata.
In quanto etologo cognitivo, quindi né comportamentista né cognitivista, quando parlo di cavalli cognitivi e di cognizione animale, non faccio riferimento a stimoli, rinforzi, condizionamenti, neanche in ottica cognitivista o di addestramento cognitivo-relazionale, non sono interessato se il cavallo, si o no, si riconosce allo specchio o se riconosce forme e colori, non mi interessa capire se il clicker o se le pressioni possono essere usato in modo cognitivo (anzi al limite sarebbe più giusto dire cognitivista), non sono interessato a cogliere il buono che c’è in ogni approccio e non mi presto ad essere inserviente etologo dei vari e variegati quartierini equestri, con il cavallo che viene deprivato delle sue domande al mondo e ridotto ad uno schiavo cibernetico.
Quando parlo di cavalli cognitivi intendo quindi dire che sono interessato ad esplorare i loro comportamenti, così come i loro stati mentali, spontanei, sia all’interno di una cornice cognitiva individuale che socio-cognitiva, senza alcun risvolto applicativo equestre, ma con lo scopo ben chiaro di garantire loro una qualità di vita a misura di cavallo, emacipandoli dalle addestrologie, liberandoli dall’industria equestre e progettando nuove immagini di coesistenza.
Concludo esortando a non considerare tutti questi aspetti, studi e discipline come mere etichette equivalenti, dove una vale l’altra, ma comprendere, con profondità e pensiero critico, quali di esse si orienta in direzione del punto di vista animale e quale si orienta in direzione dello sfruttamento animale. Perché le discipline di studio e ricerca hanno una storia che va compresa al di là dei contenuti, una storia fatta di battaglie, anche molto dure, confrontandosi in nome di una conoscenza spesso troppo-umana e poco autenticamente animale.
Perché ci si può anche accontentare nella vita, ma per dirla con Ligabue chi si accontenta gode, così così, e a godere così così, a causa della superficialità nel comprendere, in questo caso sono i cavalli e molte altre animalità, anche umane.
Ci vediamo da Mario, prima o poi.
Nella foto Topazio e Falò, cavalli cognitivi.
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