Sfruttati per gioco

asino giocoChi frequenta me, i miei scritti, la mia formazione, sa che non parlo mai di gioco animale o con gli animali. Sono infatti molto resistente al termine “gioco”, così come inteso oggi e soprattutto quando associato alle interpretazioni antropomorfiche e alle interazioni degli umani troppo-umani con l’animalità.

Oggi, infatti, si parla molto, troppo, di gioco animale e va di gran voga usare questo termine per giustificare i più vari sfruttamenti animali, sia come interpretazione di alcuni comportamenti, sia come forma “simpatica” di intrattenimento e terapia per umani, sia come edulcorante per l’addestramento.

“Li addestriamo attraverso il gioco”, “É solo un gioco”, “É un gioco educativo”, “Li usiamo facendoli giocare”, “Gli animali giocano così anche in natura”, sono solo alcune delle frasi più comuni e dei più frequenti luoghi comuni, che mettono in risalto una presunta importanza del gioco animale, ma che allo stesso tempo celano, consapevolmente o inconsapevolmente, usi e impieghi degli animali con risvolti eticamente più che discutibili, in cui l’animalità viene di fatto misinterpretata, denigrata, mortificata.

Il gioco quindi come filtro interpretativo utile nel rendere accettabile alcune attività che, dal punto di vista animale, non hanno nulla di giocoso, anzi sono molto noiose, e che sono anche sempre più messe sotto discussione, non grazie alla scienza che troppo spesso si presta a questi giochi, ma grazie ad un’opinione pubblica antispecista, sempre più sensibile a questi argomenti, che ha voglia davvero di capire come stanno le cose e cosa si nasconde dietro le molte maschere che vengono indossate per giocare sfruttando e per sfruttare giocando.

In questo senso è quindi tutto da vedere e rivedere anche il significato di gioco animale, che viene erroneamente attribuito, soprattutto nelle attività addestrative, ad espressività reattivo-compulsive, che producono fin troppo spesso negli animali stati apatico-depressivi da una parte, che vengono scambiati come calma, accettazione e buona disposizione, oppure emotivo-aggressivi dall’altra che vengono etichettati come tratti caratteriali problematici.

Il gioco, in condizioni naturali, non ha nulla a che vedere con i “giochi” addestrativi, ma ha invece a che vedere con le esperienze cognitive. Le interazioni di gioco in contesti che non risentono di influenze antropomorfiche e antropocentriche, non mostrano infatti una schematicità, una richiestività, non si osservano automatismi né meccanicismi, la reattività viene evitata ed è l’esperienza da una prospettiva di cognizione animale, che facilita le dinamiche di gioco. L’energia, oltre all’espressività, di due giovani leoni che appartengono allo stesso gruppo famigliare e che giocano tra loro è molto diversa da quella di due cani tra loro sconosciuti che “giocano” in un contesto di socializzazione, di un cavallo che viene oppresso dai vari “giochi” di horsemanship, di un asino che deve sottostare ad essere fonte di “gioco” a beneficio di bambini e adulti umani oppure di un cane che “gioca” a danzare con un umano.

Ritrovare il vero significato di gioco animale è a mio parere essenziale per riportarlo al suo reale senso di esperienza cognitiva e possibilista, libera da aspettative e regole, centrata in stati interni e pensieri liberi da addestramenti, anche nelle interazioni con gli umani, non per sfruttare l’animalità ma per incontrarla, non per misinterpretarla ma per comprenderla e riconoscerla pienamente.

La foto dell’asino mascherato da operaio alcolista (che è stata messa nella categoria “cose divertenti” di Pinterest e già questo la dice lunga), non ha nulla di giocoso dal punto di vista dell’asino e poco conta se quell’asino sia stato addestrato con il gioco, divertendosi, con le carote, con i sorrisi o con i patti d’amore, poco conta anche se sia stato si o no addestrato, per essere giullare al fianco di un’umanità troppo-umana e poco animale.