Ci sono più prede e predatori nell’horsemanship, che in natura.

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La fortemente fuorviante etichetta di prede associata agli equidi, prodotta dall’etologia mainstream e dall’horsemanship negli ultimi decenni, ha rappresentato la bastonata finale data alla dignità e all’integrità dei cavalli, trascinandosi dietro anche gli asini, che sono diventati a loro volta prede di seconda generazione. Per cavalli e asini che vivono in condizioni naturali, possono si verificarsi rare situazioni di predazione, ma passare da questo ad uno stravolgimento identitario pseudoetologico degli equidi ce ne vuole e necessita di contorte proiezioni antropomorfiche che trasformano animali naturalmente cognitivi, in animali reattivi, incontrollabili, imprevedibili, che richiedono addestramento ed educazione a forza di leaders, sticks, lanci di longe e clickers. Nella realtà dei fatti, cavalli e asini subiscono situazioni di prede-predatori proprio nello spazio dei tondini addestrativi e nell’industria equestre-asinara in generale, più che in natura, diventando reattivi a causa delle pressioni e richieste bizzarre proveniente dall’horsemanship e dalla donkeymanship, sia di vecchia che di nuova generazione.

Nella foto di Gary Pearl, un gruppo socio-cognitivo di cavalli nella Washoe Valley in Nevada.