
Sono cresciuto a pane e scienza, sin da piccolo infatti ero affascinato dalle materie scientifiche, molto più che da quelle umanistiche, con un particolare interesse verso il campo delle discipline bio-naturalistiche. Da bambino ero noto, tra amici e parenti, per conoscere anche le specie animali più rare. Ricordo che spesso a casa, quando ricevevamo ospiti, si imbandivano vere e proprie prove di conoscenza animale. Alle scuole medie, insieme ad altri compagni di classe, ricordo che portai una ricerca sui grandi felini: ognuno di noi scelse una specie ed io scelsi l’Irbis, il leopardo delle nevi. Ancora ricordo l’espressione del professore di scienze, che non conosceva affatto questa specie, rimanendo affascinato a sentirmi raccontare le abitudini di quel raro felino. In seguito raggiunta l’adolescenza studiai i maggiori libri dell’epoca sul comportamento animale che poi sarebbero stati miei testi all’esame di etologia all’Università di Parma che diedi nei primi anni 80, una disciplina che i veterinari e gli istruttori cinofilo-equestri avrebbero scoperto, spesso misinterpretandola e sporcandola di behaviorismo, solo vent’anni più tardi, con l’etologia applicata.
Quindi la scienza sempre come mia bussola principale, fatta di tanta etica, tanta esplorazione, di poche evidenze fini a se stesse e di poche speculazioni antropocentriche. Oggi però la scienza rappresenta sempre più un altro tipo di religione, il cui libro sacro è quello della statistica ed i cui fondamentalisti appartengono alle congregazioni monastiche dell’industria delle pubblicazioni scientifiche, dove ricercatori più o meno esperti e giovani studenti si piegano ai precetti del metodo scientifico o presunto tale, recitando le loro preghiere statistiche quotidiane, perdendo di vista i soggetti-di-una-vita che loro dicono di voler studiare, tenendo scarsamente, se non per nulla, conto di moderni principii di etica animale, con materie come l’etologia asservite allo sfruttamento e all’addestramento animale, più che alla conoscenza dell’animale quale portatore di un suo valore intrinseco e soggettivo, oltre che costruttore di una sua propria tradizione culturale individuale e di gruppo.
Oggi il mio contributo, anche in seno ai contesti scientifici, accademici e per gli studenti che affianco nei loro percorsi di tesi, non può essere altro che quello di consegnare e riconsegnare il primato all’etica, all’esplorazione, alla meraviglia, per una scienza secolare, infedele e post-umanista.
La scienza non prova, esplora. – Gregory Bateson
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